martedì, aprile 05, 2011

Daniele Abbado al Teatro Valli con il ''Rigoletto'' di Verdi

Mercoledì 6 e sabato 9 aprile, ore 20, al Teatro Valli l'opera coprodotta da Teatri e Fenice di Venezia. Sul podio l'astro nascente venezuelano Diego Matheuz, regia di Daniele Abbado. E martedì 5 aprile 2011 ore 18.00, nella Sala degli Specchi del Teatro Valli, ad ingresso libero, "Il Risorgimento di Rigoletto", incontro intorno al cartellone con Gian Antonio Stella, Daniele Abbado e Oreste Bossini.


La conclusione della stagione lirica della Fondazione I Teatri è affidata al verdiano Rigoletto, che andrà in scena mercoledì 6 e sabato 9 aprile, alle ore 20, al Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia.

L’allestimento, in collaborazione con la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia e Teatro La Fenice di Venezia è a firma di Daniele Abbado (regia), Boris Stetka (regista collaboratore), Alison Chitty (scene e costumi), Simona Bucci (coreografia) e Vittorio Alfieri (luci) e ha debuttato al Teatro La Fenice il 25 settembre 2010. L’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice (maestro del Coro Claudio Marino Moretti) saranno diretti dal ventiseienne direttore venezuelano Diego Matheuz, astro nascente del panorama internazionale e uno dei frutti migliori del celebre Sistema Nacional de Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela fondato nel 1975 da José Antonio Abreu.

Il cast sarà formato da Eric Cutler nel ruolo del duca di Mantova, Roberto Frontali in quello di Rigoletto, Ekaterina Sadovnikova in quello di Gilda, Gianluca Buratto in quello di Sparafucile, Daniela Innamorati in quello di Maddalena; Rebeka Lokar sarà Giovanna, Alberto Rota Monterone, Armando Gabba Marullo, Iorio Zennaro Matteo Borsa, Luca Dall’Amico ed Elena Traversi il conte e la contessa di Ceprano. Nei ruoli dell’usciere e del paggio si alterneranno gli artisti del Coro Salvatore Giacalone, Gionata Marton, Anna Malvasio ed Emanuela Conti.



Rigoletto esordì al Teatro La Fenice l’11 marzo 1851. Tratta da Francesco Maria Piave dal dramma storico di Victor Hugo Le roi s’amuse, l’opera giunse sulla scena  del Teatro La Fenice, l' 11 marzo 1851, dopo una serie di vicissitudini legate alle interdizioni della censura veneziana, che non accettava che un ruolo negativo fosse attribuito ad un sovrano (ciò indusse a scegliere il duca di Mantova, con un richiamo forse intenzionale alla figura dello spregiudicato Vincenzo Gonzaga) e riteneva il soggetto indecoroso e la maledizione un fatto empio.

Verdi era entusiasta della pièce di Hugo – «è il più gran soggetto e forse il più gran dramma de’ tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!» – al punto di sfidare la censura ed evitare contatti diretti con Hugo, nel timore che gli potesse negare l’autorizzazione all’utilizzo del proprio modello drammatico (pare che il grande scrittore francese, ricorso alla giustizia, sia receduto dopo l’ascolto del quartetto dell’atto III, riconoscendo che in letteratura sarebbe stato impossibile fare qualcosa di analogo). Tra vicissitudini d’ogni tipo l’opera giunse infine al termine incontrando il favore del pubblico, anche se non quello della critica, piuttosto disorientata dall’eccentricità della pièce. Il governatore di Venezia deplorò che il celebre maestro ed il poeta avessero sacrificato il proprio talento per un soggetto di «ributtante immoralità ed oscena trivialità».

Prima opera della cosiddetta ‘trilogia popolare’ (comprendente anche Il trovatore e La traviata), l’opera segna una svolta epocale nell’evoluzione artistica di Verdi: con Rigoletto si conclude il lungo periodo degli «anni di galera», che fino al 1850 lo vide sfornare tra originali e rifacimenti ben 16 opere; lo stesso personaggio di Rigoletto, buffone ma triste, rancoroso e provocatore ma dolorosamente afflitto, dipinto da Verdi in tutto lo spessore tragico della sua condizione umana, rappresenta una vistosa eccezione in un panorama operistico che distingueva con molto maggior rigore fra misera abiezione da un lato e immacolata virtù dall’altro. Proprio dalla sentita necessità di potenziare la caratterizzazione del personaggio principale, indagandone gli opposti lati di una personalità contrastata e, proprio in questo, così umana, muove il rinnovamento operato dalla drammaturgia verdiana intorno a convenzioni radicate: «Cortigiani, vil razza dannata» è l’esempio memorabile che sancisce la nascita di una nuova voce per il melodramma italiano, quella ‘spinta’ del baritono che sarà chiamato per antonomasia verdiano, dal potente declamato, per il quale non regge più la tradizionale definizione di «basso cantante».

(Comunicato/Teatro Valli)

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