martedì, novembre 30, 2010

Cremona, una nota di regia di Andrea Cigni sulla ''Traviata''

Di seguito si riporta una nota di regia di Andrea Cigni, regista della ''Traviata'' che andrà in scena questo dicembre al Teatro Ponchielli di Cremona.



''La prima considerazione che mi è venuta di fare affrontando la messa in scena della Traviata è stata quella di voler rispettare l’importante e radicata tradizione musicale e la conoscenza anche popolare che da sempre accompagnano quest’opera borghese; al tempo stesso mi animava il desiderio di raccontare con tutta la sua intrinseca forza un dramma tanto appassionante come quello di Violetta, e che ancor prima era stato quello di Manon Lescaut e di Margherita di Dumas, romanzi ai quali l’opera si ispira. Per questo l’allestimento, pur nel solco della tradizione, doveva palesare elementi innovativi sul piano visivo, espressivo e simbolico, ma al tempo stesso voleva proporsi come un omaggio ad allestimenti che hanno fatto la storia di questo melodramma. Ho dunque voluto una scena profondamente elegante e fortemente espressiva ma al tempo stesso semplice ed essenziale, se pur ricca di allusioni simboliche; al costumista ho suggerito un vestiario vario, raffinato, ricercato nella scelta dei tessuti - sete, taffetas, organze -; ai cantanti, infine, ho chiesto una recitazione realmente teatrale, accurata, forte, capace di un coinvolgimento totale dello spettatore dalle prime battute e fino al tragico epilogo. Ho dunque impostato un lavoro intenso sui diversi versanti della messa in scena, tale da coinvolgere tutti coloro che vi prendevano parte, artisti e tecnici, masse corali e danzatori. L’intento era ed è quello di guidare chi assiste alla rappresentazione non semplicemente a canticchiare un brindisi, ma a sentire e condividere prepotentemente il dramma, i contrasti, la malattia, la gioia, l’amore, l’ebbrezza, le emozioni dei protagonisti in palcoscenico, appassionandosi in maniera totale alla vicenda.


Traviata non è semplicemente la storia di una prostituta. In una società dove tutto o quasi – allora come ora – è governato dal sesso, dal denaro, dall’ebbrezza del piacere, Violetta incarna l’eroina capace di riscatto: ha il coraggio di vivere fino in fondo un amore vero, e per amore si sacrifica, dando così una lezione di generosità e altruismo. Il prezzo da pagare, tuttavia, è alto: abbandonata da tutti, muore in una stanza spoglia e desolata, senza niente, senza nemmeno un letto.

In omaggio al “percorso” di Violetta ho bandito, da questa messa in scena, volgarità e provocazioni gratuite, lasciandomi condurre solo dal desiderio di raccontare quello che realmente la protagonista vive. Un percorso che la porta da protagonista di avventure mercenarie fino alla morte, dopo un fugace incontro con l’amore vero. Il mio intento è quello di consegnare al pubblico una Traviata dai risvolti crudi e crudeli, come nell’atto secondo, o in alcuni momenti dell’atto terzo, ma anche poetici e romantici, come nel duetto dell’atto primo o nell’atto secondo (Amami Alfredo!), per raggiungere l’acme della commozione struggente davanti al grande senso di impotenza e al debordante dolore che avvolge la protagonista nel finale del terzo atto. Per questo mi sono voluto inserire nella tradizione delle messe in scena di Traviata privilegiando un linguaggio nuovo e diretto. C’è una parola nella quale mi sembra di poter condensare il senso di Traviata: questa parola è “reale”. “Reale” è l’amore di Violetta, la sua passione, la sua gioia, la sua sofferenza, la sua malattia, la sua morte. Non c’è niente di finto, di fantastico, di favolistico. Tutto quanto accade in scena è straordinariamente vero o verosimile, e il pubblico ci crede: proprio questa è la forza del melodramma di Verdi.


L’opera si apre con la rappresentazione di quel mondo fatuo in cui Violetta si trova a vivere, con una delle tante feste dove si consumano vite senza ideali; e a questa partecipa l’ospite ‘nuovo’, Alfredo, forse non del tutto consapevole dell’ambiente nel quale sta facendo il suo ingresso. Il Brindisi è la sua prova, una sorta di iniziazione per essere accolto in questo “circolo” di finti amici. Talmente finti che nessuno aiuta Violetta quando si sente male, nessuno la sostiene quando Alfredo la accuserà volgarmente di essere una prostituta, e nessuno sarà con lei nel momento della morte. E’ un’umanità che vive il suo piacere voyeuristico, nascondendo le vere identità con maschere inquietanti. Il Brindisi è un rito che si celebra in una sfarzosa sala delle feste, con una marea di sedie che non hanno anima ma che servono agli invitati ‘spettatori’ e ‘protagonisti’ della festa. Le pareti sono un allusivo omaggio alla riflessione: esse stesse riflettono la realtà, seppure in maniera opaca e distorta. Il salone della casa si apre, si spacca, respira, nel secondo atto, con un movimento che inizia al termine del primo atto e diventa cielo e diventa giardino della casa di campagna, diventa oasi di serenità, lasciando ai lati gli elementi della festa sbagliata. Ritorna poi la sala, ma con una prospettiva diversa, quando nel secondo atto è chiamata ad ospitare un nuovo rito, quello della morte, danzato da zingarelle che diventano tori e da matadores che li uccidono senza pietà. Poi tutto torna quasi come all’inizio, ma il salone è ora più angusto, le sedie si sono diradate, il lampadario è a terra, spento; non c’è neanche un letto per Violetta: l’intervento dell’ufficiale giudiziario sta creando il deserto. Con Violetta c’è solo Annina, e c’è la morte. E’ forse una delle scene più forti della storia del melodramma, in cui l’impotenza e il degrado si mischiano con la dignità e l’altruismo di Violetta.


L’idea fondamentale attorno alla quale ruota la storia della Traviata e la mia messa in scena è quella della morte. Che non è solo raccontata o filtrata attraverso la sofferenza: è dichiarata. All’inizio, nel preludio, e poi alla fine, nel terzo atto. La morte lascia su Violetta il suo segno fin dalle prime battute del melodramma; le lascia addosso la malattia, rappresentata da un fiore bianco, che per assurdo è anche il simbolo del suo amore ed è, ancora, il simbolo del luogo in cui lei si sente serena, il giardino della casa di campagna: Amami Alfredo! … Io sarò là tra quei fior….''



(Comunicato/Teatro Amilcare Ponchielli)



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